IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale  n. 1639/99  R.G.N.R.
n. 1510/02  r. gen. Tribunale di Bologna, pendente a carico di Sgarbi
Vittorio  e  Cane'  Gabriele,  come generalizzati in atti; sentite le
parti, che hanno concluso:
        la  parte  civile  ha  richiesto  sollevarsi  la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 3 legge n. 140/03 per contrasto
con  gli  artt. 3,  24,  68,  101, 112, 117 della Costituzione, per i
motivi   espressi  in  memoria  scritta  depositata  agli  atti,  qui
richiamata,  e  ulteriormente illustrati all'Udienza odierna, come da
verbale;  nonche'  la sospensione del giudizio in corso nei confronti
dell'imputato  Sgarbi, e la separazione della posizione dell'imputato
Cane'.  In subordine, la parte civile ha chiesto sollevarsi conflitto
di attribuzioni;
        il  p.m.  ha  illustrato  le  proprie conclusioni di cui alla
memoria  scritta,  depositata  dell'odierna  udienza,  anch'essa  qui
richiamata, ritenendo che la questione di legittimita' costituzionale
proposta  non  sia  rilevante  nel  presente procedimento, e pertanto
chiedendo  che  il  giudice  pronunci sentenza ai sensi dell'art. 129
c.p.p.  nei  confronti  dell'imputato  Sgarbi, separando la posizione
dell'imputato Cane', ritenendo la natura strettamente personale della
causa di non punibilita' di cui all'art. 68 Costituzione.
    La difesa di Cane' Gabriele ha chiesto sollevarsi la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 3 legge n. 140/03 per contrasto
con gli artt. 3 e 68 della Costituzione, in base ai motivi esposti in
udienza,  di cui al verbale in atti, e si e' opposta alla separazione
della  posizione  del Cane' chiedendo la sospensione dei processo per
entrambi gli imputati.
    La  difesa dell'imputato Sgarbi ha richiesto che, ove non venisse
accolta  la  questione di legittimita' costituzionale sollevata dalle
altre  parti,  il  giudice  pronunci  sentenza ai sensi dell'art. 129
c.p.p.
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Preso  atto  della delibera della Camera dei deputati intervenuta
in  data  27 maggio  2003 qui trasmessa in originale e pervenuta agli
atti   in   data   3 giugno  2003,  con  la  quale  veniva  approvata
integralmente  la  proposta  della Giunta per le autorizzazioni circa
l'applicabilita'  dell'art. 68  primo  comma  della Costituzione, nel
senso  di  dichiarare  che  i  fatti  per  i  quali  e'  in  corso il
procedimento  penale n. 1639/1999 R.G.N.R. - n. 1881/99 RG.G.I.P., di
cui  al  documento  4-quater, n. 73, concernono opinioni espresse dal
deputato Sgarbi nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo
comma deIl'art. 68 della Costituzione.
    Premesso che, il fatto per il quale e' stato disposto il rinvio a
giudizio  dell'On. Sgarbi,  si  riferisce  a frasi ritenute - secondo
l'accusa  -  diffamatorie,  attribuite al medesimo e pubblicate in un
articolo  di  stampa  sul  quotidiano  «Il  Resto  del  Carlino»  del
31 dicembre  1998,  sotto  il  titolo «Caro Fini, non sono garantista
difendo tutti anche i piu' deboli».
    L'on. Sgarbi avrebbe - secondo l'imputazione elevata a suo carico
-  con  l'articolo  suddetto,  offeso  gravemente  la reputazione del
dott. Giancarlo  Caselli,  all'epoca  Procuratore della Repubblica di
Palermo»  a  causa dell'adempimento delle sue funzioni e nell'atto di
esercitarle,  indicandolo  espressamente  come  causa della morte del
dott.   Luigi   Lombardini,  verificatasi  per  suicidio  a  Cagliari
l'11 agosto  1998,  in  quanto  avrebbe  posto  in  essere  nei  suoi
confronti   «una  violenza  intollerabile»  cosi'  da  condurlo  alla
disperazione  e  al  suicidio,  il  tutto  in un contesto generale di
iniziative giudiziarie caratterizzate dal sequestro di innocenti».
    La  Camera dei deputati approvava integralmente la proposta della
Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere, la quale, richiesta di
pronunciarsi   per   iniziativa  dello  stesso  deputato  Sgarbi,  ha
esaminato  il  caso  nelle  sedute del 6 marzo e 14 maggio 2003 (cfr.
Relazione della giunta, trasmessa agli atti).
    Nella  relazione  della  giunta,  si sottolineava infatti che «le
affermazioni  del  deputato  Sgarbi sono parse inserirsi nel contesto
della  perdurante polemica politica nel nostro Paese inerente al modo
di  procedere della magistratura e in particolare nella forte critica
politica  manifestata  dal deputato Sgarbi nei confronti dell'operato
di  taluni  Magistrati,  critica  che  in molte precedenti occasioni,
l'assemblea  ha  ritenuto  insindacabili al sensi dell'art. 68, primo
comma, della Costituzione. Del resto, la garanzia di cui all'art. 68,
primo comma della Costituzione, copre anche attivita' di critica e di
denuncia   del   Parlamentare  relativamente  all'ordine  del  giorno
dell'attivita'   parlamentare   cosi'  com'era  la  polemica  con  la
magistratura  in  quel  periodo. Decisiva ai presenti fini, e' poi la
circostanza   che  le  dichiarazioni  del  deputato  Sgarbi  sono  di
contenuto sostanzialmente corrispondente a quelle riportate nelle sua
interrogazione  a riposta orale presentate il 15 settembre 1998 (Atto
Camera  n. 3/02843),  il  cui  testo  si  riporta  in allegato, e che
dimostra  appieno  il  nesso funzionale tra le dichiarazioni rese nel
contesto  del  procedimento in titolo e l'attivita' parlamentare. Per
tali  motivi  all'unanimita', la giunta ha deliberato nel senso che i
fatti  per  i  quali  e' in corso il procedimento concernono opinioni
espresse  da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue
funzioni  (cfr.  relazione  della giunta per le autorizzazioni - Doc.
IV-quater   n. 73  presentata  alla  Presidenza  il  15 maggio  2003,
approvata  dalla  Camera nella seduta del 27 maggio 2003 n. 314, come
da  estratto  stenografico  trasmesso  al seguito della comunicazione
inviata  a  questo Tribunale dal Presidente della Camera dei deputati
unitamente  alla  suddetta  relazione  e al testo dell'interrogazione
parlamentare citata).
    Pervenuta   la   suddetta   documentazione   via  fax  nel  corso
dell'udienza  dibattimentale  del  28 maggio  2003,  con  riserva  di
trasmissione  degli  originali  (pervenuti  successivamente  in  data
29 maggio  2003  alla  segreteria  di  Presidenza  del  tribunale  di
Bologna),  questo giudice disponeva un rinvio preliminare all'odierna
udienza,   riservando   ogni   decisione  senza  espletare  ulteriore
attivita' istruttoria, come da ordinanza agli atti qui richiamata.
    Successivamente,  nelle  more  del  rinvio,  entrava in vigore la
legge 20 giugno 2003 n. 140 intitolata «Disposizioni per l'attuazione
dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali
nei  confronti  delle alte cariche dello Stato» il cui art. 3 comma 1
ridefiniva  l'ambito  di  applicazione del medesimo articolo 68 primo
comma  della  Costituzione, nei seguenti termini «l'art. 68, 1 comma,
della  Costituzione, si applica in ogni caso, per la presentazione di
disegni  o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni
e  risoluzioni,  per  le  interpellanze  e le interrogazioni, per gli
interventi  nelle  assemblee  e  negli altri organi delle Camere, per
qualsiasi  espressione di voto comunque formulata, per ogni albo atto
parlamentare,  per ogni alba attivita' di ispezione, di divulgazione,
di  critica  e  di  denuncia  politica,  connessa  alla  funzione  di
Parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento».
    Allo   stato   attuale   del   processo,   essendo  pervenuta  la
deliberazione  della  Camera  in  senso  favorevole  all'applicazione
dell'art. 68   comma 1   della   Costituzione,  gia'  precedentemente
all'entrata  in  vigore  della suddetta legge, questo giudice sarebbe
tenuto,  giusta il combinato disposto di cui all'art. 3 commi terzo e
ottavo   della   legge   n. 140/03,  ad  «adottare  senza  ritardo  i
provvedimenti  indicati nel comma 3 ovvero a provvedere con sentenza,
in  ogni stato e grado del processo penale, a norma dell'art. 129 del
codice  procedura  penale», norma di carattere processuale, come tale
immediata applicazione in base al noto principio tempus regit actum.
    In  alternativa,  il  giudice  ordinario  conserva  il  potere di
sollevazione  del  conflitto  di  attribuzioni,  fondato sulla stessa
garanzia  costituzionale di delimitazione della sfera di attribuzioni
di cui all'art. 134 della Costituzione.
    La  pronuncia  di  una  sentenza  ai  sensi dell'art. 129 c.p.p.,
impone   tuttavia   a  questo  giudice  una  valutazione  preliminare
dell'ambito  di  applicazione dell'art. 68 comma 1 Costituzione, come
ridefinito  nel  nuovo  art. 3 comma 1 della legge n. 140/2003, quale
norma  sopravvenuta  di  carattere  sostanziale che delinea i casi di
applicazione della causa di non punibilita', riconosciuta sussistente
nel caso di specie, dalla delibera parlamentare di cui sopra.
    Orbene,  questo  giudice  ritiene  che  l'attuale testo normativo
dell'art. 3  legge n. 140/2003 ponga una questione non manifestamente
infondata  di  legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con gli
artt. 3,  68 comma 1, 24 e 117 della Costituzione, e che la questione
sia  rilevante  nel  presente  procedimento  penale,  per i motivi di
seguito  esposti,  e  secondo  profili  solo in parte coincidenti con
quelli  gia' dedotti dalle parti istanti, tanto da rendere necessaria
la  sollevazione  d'ufficio  ex  art. 23 comma 3 legge 11 marzo 1953,
n. 87.
      Invero,  l'art. 3 comma 1 legge n. 140/03, non si limita ad una
semplice  «attuazione»  dell'art. 68  comma 1  della Costituzione, ma
estende   l'ambito  di  operativita'  della  garanzia  dell'immunita'
parlamentare,  ben  oltre i limiti definiti dall'attuale formulazione
della  norma  costituzionale  citata, quali costantemente individuati
dalla  pluriennale  giurisprudenza  dalla  Corte costituzionale nelle
numerose  pronunce  intervenute  in  occasione  della sollevazione di
conflitti  di  attribuzioni  tra  il  giudice  ordinario e le Camere,
riguardo   allo   specifico   tema  del  «nesso  funzionale»  tra  le
dichiarazioni   di   un   deputato   e   l'espressione  di  attivita'
parlamentare.
    Per  consolidata  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale e'
pacifico   che,   trattandosi   di   valutare  la  sussistenza  della
prerogativa  dell'immunita' in rapporto alle dichiarazioni rese da un
deputato  ad  un'agenzia di stampa, e pertanto rilasciate al di fuori
dell'esercizio  delle  funzioni  parlamentari tipiche, il problema si
risolve  nello  stabilire  se  quelle  dichiarazioni siano ugualmente
identificabili come espressione dell'attivita' parlamentare, e quindi
possano  ritenersi iscritte nell'ambito delle «opinioni» per le quali
opera   la   citata  garanzia  costituzionale  (cfr.  sentenza  Corte
costituzionale n. 51/2002, nella quale viene riaffermato il principio
secondo  cui  «ove  le  dichiarazioni per le quali il parlamentare e'
chiamato  a rispondere in sede giurisdizionale siano state rese al di
fuori  di  un'attivita'  funzionale  riconducibile  alla  qualita' di
membro  della  Camera,  e del tutto al di fuori delle possibilita' di
controllo  e  di  intervento  offerte  dall'ordinamento parlamentare,
l'unico   punto   da   verificare   riguarda  l'eventualita'  che  la
dichiarazione  medesima  non rappresenti altro se non la divulgazione
all'esterno....  di  un'opinione  gia'  espressa,  o  contestualmente
espressa, nell'esercizio della funzione parlamentare»).
    La Corte costituzionale ha piu' volte chiarito che, ai fini della
predetta   identificazione,  (non  basta  la  semplice  comunanza  di
argomenti,   oggetto   di   attivita'   parlamentari   tipiche  e  di
dichiarazioni   fatte   al   di   fuori   di   esse,   ne'  basta  la
riconducibilita'  di  queste  ultime  dichiarazioni  ad  un  medesimo
«contesto  politico»  (cfr.  tra le molte conformi, la recente citata
sent.   Corte  cost.  n. 51/2002,  in  base  alla  quale  «per  poter
ricondurre le dichiarazioni extra moenia al panorama delle «opinioni»
per le quali opera la garanzia costituzionale della irresponsabilita'
non  basta la semplice comunanza di argomenti, ne' la medesimezza del
«contesto» politico tra quelle dichiarazioni e l'espletamento di atti
tipici   della   funzione   parlamentare.  Occorre,  invece,  che  la
dichiarazione  possa essere qualificata come espressione di attivita'
parlamentare;  il che normalmente accade se ed in quanto sussista una
sostanziale  corrispondenza  di significati fra le dichiarazioni rese
al  di  fuori  dell'esercizio  delle  attivita'  parlamentari tipiche
svolte  in  Parlamento,  e  le  opinioni gia' espresse nell'ambito di
queste ultime»).
    La  sostanziale  corrispondenza  di contenuti, finisce dunque per
costituire «il criterio che consente di identificare le dichiarazioni
rese  al  di fuori di quelle attivita', e cionostante riconducibili o
inerenti  alla  funzione parlamentare, distinguendole cosi' da quelle
che  ricadono nel diritto comune a tutti i cittadini, e proteggendole
tramite   la   speciale  garanzia  dell'art. 68  primo  comma,  della
Costituzione. Senza con cio' determinare situazioni ingiustificate di
privilegio   personale»   (cfr.   Sent.   320   e  321/  2000,  sent.
27 febbraio-15 marzo 2002 n. 50).
    Alla  luce  dei  suddetti  ben  noti  principi,  una disposizione
semplicemente  «attuativa»  dell'art. 68  comma 1  della Costituzione
introdotta   con  legge  ordinaria,  avrebbe  necessariamente  dovuto
rispettare  i  confini  nei  quali era ed e' legittimamente possibile
individuare   gli   estremi   del   «nesso   funzionale»  cosi'  come
interpretato  costantemente dalla Corte costituzionale, e in ossequio
al  dettato  della norma costituzionale attualmente vigente (salva la
possibilita'  di introdurre modifiche dirette a quest'ultima mediante
gli  strumenti legislativi previsti dall'art. 138 della Costituzione,
non attuati con la legge de qua.
    Si ritiene invece, che il testo dell'attuale art. 3 comma 1 legge
n. 140/03  abbia inteso individuare i termini di identificabilita' di
«espressione    dell'attivita'    parlamentare»,   non   solo   nella
«sostanziale  identita' di significati» tra le attivita' extra moenia
e  quelle  svolte  in sede Parlamentare dal medesimo Deputato, bensi'
ancbe  in  una  serie  di  condotte  che,  pur  se  svolte  fuori del
Parlamento,  presentino  un  mero  collegamento  con  «la funzione di
Parlamentare»   e  non  una  specifica  connessione  con  l'attivita'
parlamentare  svolta  dal  medesimo soggetto, indipendentemente dalla
loro  identificabilita'  con  il  vero  e  proprio  «esercizio  delle
funzioni   parlamentari»   voluto   dall'art.   68   comma   1  della
Costituzione.
    Invero,  l'interpretazione  letterale  e  sistematica  del  testo
delIart. 3  comma 1  legge  n. 140/03 porta inequivocabilmente a tali
conclusioni,  laddove  vengono  analiticamente  indicate, in aggiunta
agli atti «tipici» espressivi dell'esercizio di funzioni parlamentari
(disegni  di  legge,  proposte  di legge, emendamenti, interrogazioni
etc.),   una   serie   di   ulteriori  attivita'  «di  ispezione,  di
divulgazione,  di  critica  e di denuncia politica», le quali saranno
ugualmente  coperte  dall'immunita' anche se avvenute al di fuori del
Parlamento,    qualora   risultino   «connesse   alla   funzione   di
parlamentare».
    Il  rapporto  di «connessione» viene dunque riconosciuto non solo
rispetto  alla  «divulgazione»  di  atti  o  attivita'  compiute  dal
medesimo  Parlamentare  intra moenia, ma anche ad ulteriori e diverse
attivita'   espletate   fuori   della   sede   parlamentare,   e  non
necessariamente di contenuto corrispondente a quello di atti «tipici»
compiuti dallo stesso Parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni.
    La  differenza  e' rilevante, in quanto detta interpretazione del
nesso  funzionale  quale  criterio  operativo  di  applicazione della
garanzia dell'immunita' parlamentare, consente di dilatarne i confini
ben  oltre  e  in contrasto con il dettato dell'attuale art. 68 primo
comma,   Costituzione,  sino  a  ricomprendervi  anche  attivita'  di
«critica  e/  o  di  denuncia politica», ovvero tutte quelle opinioni
espresse  dal  parlamentare  nello  svolgimento  della  sua attivita'
politica,  che  presentino un qualche «collegamento di argomento o di
contesto»  con  l'attivita'  parlamentare  (dello  stesso  o di altri
deputati),  e  non  solo - come la Corte costituzionale ha piu' volte
costantemente  ribadito  -  quelle attivita' che siano identificabili
quale  «espressione di attivita' parlamentare», ovvero manifestate in
atti  che  costituiscano  «estrinsecazione delle facolta' proprie del
Parlamentare   in   quanto   membro   dell'Assemblea»   (cosi'  Corte
costituzionale sent. n. 10/2000, n. 11/2000; n. 56/2000; 420/2000).
    Sul  punto,  la Corte costituzionale ha ritenuto che «la semplice
comunanza  di  argomento  fra  la  dichiarazione  resa  ai  mezzi  di
comunicazione  o in dibattiti pubblici e le opinioni espresse in sede
parlamentare  non basta a estendere alla prima l'insindacabilita' che
copre  le  seconde. Ne' si puo' invocare a tal fine l'esistenza di un
«contesto»  politico  in  cui la dichiarazione si inserisca, giacche'
siffatto  tipo  di  collegamenti non vale, di per se', a conferire il
carattere  di  attivita'  parlamentare  a  manifestazioni di pensiero
oggettivamente  estranee  ad  essa.  Deve esservi, dunque, un preciso
nesso  funzionale  fra  le  dichiarazioni e l'attivita' parlamentare:
nesso  che  puo'  legittimamente  essere affermato dalle Camere anche
quando    le   dichiarazioni   siano   sostanzialmente   riproduttive
dell'opinione  sostenuta  in  sede parlamentare», e non invece, sulla
base  di  un  generico  riferimento alla «azione politica» svolta dal
deputato  «dentro  e  fuori  il  Parlamento»  sui medesimi temi (come
quelli,  rilevanti  nel caso di specie, attinenti all'amministrazione
della  giustizia e alla tutela dei soggetti sottoposti a carcerazione
preventiva) (cfr. Corte cost. sent. n. 56/2000).
    Quanto  alla  rilevanza della questione nel presente processo, ed
alla  priorita'  della  sua  risoluzione  rispetto  ad ogni ulteriore
decisione  -  sia  nel  senso  di sentenza ex art. 129 c.p.p., sia in
quello alternativa della sollevazione del conflitto di attribuzioni -
va osservato che:
        a)  la  delibera di insindacabilita' verte sul riconoscimento
del  «nesso  funzionale» tra le dichiarazioni rese dallo Sgarbi fuori
del  Parlamento  e  l'esercizio  delle  funzioni parlamentari, ovvero
sull'applicazione   al   caso  di  specie,  delle  garanzie  previste
dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    L'art. 3 della recente legge n. 140/03 ha ridefinito, nei termini
sopra  esposti, il medesimo ambito di operativita' dell'art. 68 primo
comma,  della  Costituzione,  individuando  una  serie  specifica  di
attivita'  svolte  dal Parlamentare, alle quali si applica tale norma
costituzionale  in  quanto  «connesse  alla funzione di Parlamentare,
espletate  anche fuori del Parlamento», cosi' interpretando - come si
e'  gia'  evidenziato  -  il  nesso  funzionale  che  scrimina  dette
attivita',  in  modo  assai piu' ampio di quanto consentito dal testo
attuale dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Alla  luce  della deliberazione della Camera dei deputati, questo
giudice  dovrebbe  applicare  l'art. 129  c.p.p.,  come peraltro oggi
espressamente   previsto   dall'art. 3   legge   n. 140/2003,  ovvero
sollevare   il   conflitto   di   attribuzioni   davanti  alla  Corte
costituzionale.  qualora  ritenesse  prodottasi  un'indebita  lesione
della   sfera   di   giurisdizione   da   parte   della   intervenuta
deliberazione.
    Tale   scelta  alternativa  e'  tutt'oggi  riservata  al  giudice
ordinario  di  fronte  all'intervento di una delibera della Camera, e
confermata piu' volte dalla giurisprudenza della Corte costituzionale
gia'  prima dell'entrata in vigore dell'art. 3 legge n. 140/2003, che
non  ha  comunque  modificato  la  possibilita'  da parte del giudice
ordinario  di  adire  la  Corte  costituzionale attraverso la via del
conflitto  di  attribuzioni,  trattandosi di facolta' che, come si e'
visto,  e'  riconosciuta  dalla  stessa  Costituzione  (artt. 134 ss.
Cost.).
    Tuttavia,   anche   le   valutazioni   necessariamente   connesse
all'esercizio  di  tale  facolta'  -  riservata  al giudice ordinario
qualora  egli  non  ritenga  di  aderire alla decisione assunta dalla
Camera e ritenga vi sia stata indebita lesione della propria sfera di
attribuzioni in conseguenza dell'esercizio, ritenuto illegittimo, del
potere  di dichiarare l'insindacabilita' ai sensi dell'art. 68, primo
comma,   della   Costituzione  -  comportano  una  imprescindibile  e
preliminare  delibazione  attuale  della  delibera  stessa, alla luce
della nuova normativa introdotta dal citato art. 3, legge n. 140/2003
in epoca successiva all'intervenuta decisione della Camera.
    Dall'esame  -  esclusivamente  a  tal  fine - del contenuto della
delibera  in  oggetto,  emerge  chiaro  il richiamo nella motivazione
della  stessa,  non  solo alla ritenuta sostanziale corrispondenza di
contenuti  tra  le  dichiarazioni  del  deputato Sgarbi alla stampa e
quelle riportate nella sua interrogazione a risposta orale presentata
il   15   settembre  1998,  ma  anche  e  soprattutto,  alla  portata
interpretativa   che  la  Camera  ha  inteso  ribadire  relativamente
all'ambito  di  operativita' della garanzia di cui all'art. 68, primo
comma,   della   Costituzione,   laddove   si  dice  chiaramente  che
quest'ultima  «copre  anche  attivita'  di  critica e di denuncia del
Parlamentare   relativamente   a   questioni  all'ordine  del  giorno
dell'attivita'  parlamentare,  cosi'  come  era  la  polemica  con la
magistratura  in  quel  periodo»  (cfr. relazione della giunta - doc.
IV-quater - n. 73 allegata agli atti).
    La  giunta  per  le  autorizzazioni  specificava  infatti,  nella
proposta  poi  approvata  integralmente con la delibera del 27 maggio
2003  (cfr.  relazione della giunta - doc. IV-quater - n. 73) che «le
affermazioni  del  deputato  Sgarbi sono parse inserirsi nel contesto
della perdurante polemica politica nel nostro Paese, inerente al modo
di procedere della magistratura e in particolare, nella forte critica
politica  manifestata  dal deputato Sgarbi nei confronti dell'operato
di  taluni  magistrati,  critica  che  in  molte precedenti occasioni
l'assemblea  ha  ritenuto  insindacabile ai sensi dell'art. 68, primo
comma, della Costituizione».
    Orbene,   tale   interpretazione   dell'ambito   di  operativita'
dell'art. 68,   primo   comma,   della  Costituzione,  e  quindi  del
riconoscimento del «nesso funzionale» tra le dichiarazioni rese extra
moenia   e   l'esercizio   delle   funzioni   parlamentari,   risulta
sostanzialmente  aderente  all'attuale  contenuto e portata del nuovo
art. 3  legge  n. 140/2003,  laddove  al  primo  comma,  esso estende
espressamente  il  riconoscimento della connessione funzionale ad una
serie   di  attivita'  specificamente  elencate,  tra  le  quali  ben
potrebbero  astrattamente  ricondursi  quelle  stesse  indicate nella
relazione  della  Giunta  -  «attivita'  di critica e di denuncia del
Parlamentare   relativamente   a   questioni  all'ordine  del  giorno
dell'attivita'   parlamentare,  cosi'  com'era  la  polemica  con  la
magistratura in quel periodo»; che il Parlamentare abbia svolto anche
fuori  della  sede  propria  del  Parlamento,  e che si trovino in un
rapporto di mero collegamento di argomento o di identita' - comunanza
di tematiche rispetto a quelle trattate all'interno delle Camere, pur
se   non  si  esauriscano  nella  sola  attivita'  di  «divulgazione»
all'esterno   di  dichiarazioni  gia'  contenute  sostanzialmente  in
attivita' compiute dallo stesso Parlamentare nella sede istituzionale
della Camera di appartenenza.
    Alla  luce di tali premesse, appare riconfermato che la questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3, legge n. 140/2003, si
ponga  necessariamente  come  preliminare  e propedeutica rispetto ad
ogni  altra  decisione  del  giudice  ordinario, sia che la stessa si
concretizzi  nella sollevazione del conflitto di attribuzioni, oppure
nell'applicazione immediata dell'art. 129 c.p.p.
        b)   Invero,   anche   riguardo  a  tale  seconda  ipotesi  -
diversamente da quanto ritenuto dal p.m. nelle proprie deduzioni - si
manifesta la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
posta  nel  caso  sub  iudice,  poiche'  lo stesso potrebbe rientrare
nell'attale  previsione  dell'art. 3,  comma  1, legge n. 140/2003, a
differenza  di  quanto  sarebbe accaduto prima dell'entrata in vigore
della medesima legge.
    Compiendo  una  preliminare  valutazione  -  esclusivamente a tal
fine,  e  quindi  dovendosi  prescindere  in  questa  sede,  da  ogni
ulteriore   valutazione   di   merito   in   ordine  alla  fondatezza
dell'ipotesi  di  accusa  -  si  rileva  che  le dichiarazioni di cui
all'articolo   di   stampa   oggetto  dell'imputazione  nel  presente
procedimento, non risultano avere contenuto totalmente corrispondente
a  quello  dell'atto  ispettivo  indicato  nella  delibera in oggetto
(interrogazione parlamentare presentata dall'on. Sgarbi - atto Camera
n. 3/02843  -  in  data  15  settembre  1998),  laddove  le stesse si
estendono alla frase «... voglio immaginare una situazione ribaltata:
Caselli  a  Palermo che, indagato per avere sequestrato innocenti con
indagini   insufficienti,   come   e'  realmente  accaduto  (Musotto,
Lombardo,  Scalone),  viene  interrogato  da  un  pool  di magistrati
cagliaritani  ...  guidati da Lombardini. Quale sarebbe stato l'umore
di  Caselli?  Non  voglio  aggiungere  altro», introducendo contenuti
nuovi  e  sostanzialmente diversi da quelli dell'interrogazione, che,
per  questa  parte,  non  possono  identificarsi  quale  «espressione
dell'esercizio della funzione parlamentare».
    Invero,  queste  ulteriori  dichiarazioni  non costituiscono mera
divulgazione  esterna  dei contenuti dell'interrogazione parlamentare
citata,  ma  assumono  valenza  di  significato  autonomo,  ancorche'
riconducibile   solo   in   parte   alla  medesima  vicenda,  nonche'
ricollegabili  al  medesimo tema oggetto di critica, ovvero l'operato
di taluni magistrati.
    Esse  non  possono  pertanto,  integrare quella totale «identita'
sostanziale  di contenuti» presupposto di applicazione della garanzia
prevista dall'art. 68, primo comma, Cost.
    Sul  punto, la stessa Corte costituzionale ha ribadito che, anche
nei  casi di «sostanziale corrispondenza di contenuti solo parziale»,
le  dichiarazioni  rese  dal  parlamentare  extra  moenia non possono
considerarsi  divulgazione,  per  la parte priva di corrispondenza, e
dunque  non  possono  ritenersi  rese  nell'esercizio  delle funzioni
parlamentari»  (cosi'  Corte  cost.  sent.  n. 10/2000  su un caso di
conflitto   di  attribuzioni  sollevato  in  relazione  ad  un  altro
procedimento  a  carico  dell'on. Sgarbi per diffamazione a danno del
dott.  Caselli; n. 420/2000 nella quale si sottolinea come «quando vi
e'  una  semplice  parziale  comunanza generica di tematiche relative
alla  persona  offesa  dalle dichiarazioni ... non e' ravvisabile una
corrispondenza  sostanziale  di  contenuti  e significati con un atto
parlamentare e, quindi, un carattere divulgativo»).
    Invero,      nell'interrogazione      parlamentare     presentata
dall'on. Sgarbi  in  data 15 settembre 1998, seppure con le forme del
«quesito dubitativo» proprie dell'atto tipico, venivano mosse censure
specifiche  circa  l'operato dei magistrati della Procura di Palermo,
tra  i  quali  il  dott.  Caselli,  e  in  particolare,  circa alcune
irregolarita'  che  avrebbero caratterizzato le modalita' di gestione
dell'indagine  svolta  nei  confronti del dott. Lombardini (all'epoca
procuratore  della  Repubblica  presso  la  Pretura  circondariale di
Cagliari)  e  l'espletamento  concreto  di alcuni atti giudiziari, in
particolare  le  modalita'  della  perquisizione  e  quelle  definite
«persecutorie»  di conduzione dell'interrogatorio, nonche' nell'avere
«fatto   ventilare   la  possibilita'  di  "arresto  per  la  mancata
collaborazione"   (tema   da   sempre   pubblicizzato  dalla  cultura
"inquisitoria"  di Caselli e degli altri magistrati) con cio' creando
il  clima  terrorizzante  che  secondo  l'interrogante  potrebbe aver
causato la morte di Lombardini».
    Secondo    l'interrogante,    tali    metodi   avrebbero   potuto
rappresentare  la  causa del suicidio del dott. Lombardini, tanto che
nell'interrogazione  si  ipotizzava  il  ravvisarsi di fattispecie di
reato  quali  quelle  previste  dagli  art. 580 c.p. o 613 c.p., e si
prospettava  la necessita' di adottare i conseguenti provvedimenti di
carattere disciplinare e penale.
    L'interrogazione,  si  riferisce  dunque  a  fatti specifici solo
parzialmente  richiamati  nel  contenuto dell'articolo in questione -
suicidio  del  dott.  Lombardini e presunte responsabilita' del dott.
Caselli  in ordine allo stesso a causa dei metodi d'indagine adottati
nel caso specifico - e solo genericamente compie un riferimento ad un
possibile «uso distorto» della carcerazione preventiva quale «arma di
pressione» per convincerlo a collaborare.
    Nell'articolo in oggetto, invece, si introducono temi e contenuti
nuovi, che non possono essere ritenuti sostanzialmente corrispondenti
a  quelli  oggetto  dell'interrogazione:  in  particolare, laddove si
parla  esplicitamente  di  «avere sequestrato innocenti sulla base di
indagini insufficienti» (come realmente accaduto: Musotto, Lombardo e
Scalone)»;  attribuiti  alla  persona  del  medesimo magistrato dott.
Caselli,  e  si citano tali casi nella descrizione esemplificativa di
una   situazione   ipotetica   in   cui,   attraverso  un  immaginato
«rovesciamento  dei  ruoli»,  lo  stesso  magistrato si fosse trovato
nella   condizione   di  soggetto  indagato  per  tali  fatti,  e  il
dott. Lombardini  nella  veste  di  titolare  dell'inchiesta. Dunque,
nell'articolo  oggetto  dell'imputazione,  da  un  lato si accosta la
vicenda  del  Lombardini  a quelle dei citati altri casi giudiziari -
circostanza   che  non  risulta  assolutamente  costituire  contenuto
dell'interrogazione   parlamentare   agli   atti   -  dall'altro,  si
attribuisce  espressamente  al  dott.  Caselli  «l'avere  sequestrato
innocenti   con   indagini  insufficienti»  con  riferimento  a  casi
specifici  e  diversi  da quello del Lombardini - contenuto dotato di
rilevanza   autonoma  che,  del  pari,  non  risulta  trovare  alcuna
identita'  sostanziale  con  quello  dell'interrogazione parlamentare
ridetta.
    In   quest'ultima,  risulta  espresso  un  richiamo  generico  al
concetto  di  un possibile uso distorto della carcerazione preventiva
quale «arma di pressione» per indurre l'indagato a fornire la propria
collaborazione;    contenuto   affatto   diverso   da   quello   che,
nell'articolo   di   stampa,   attribuisce   al  dott.  Caselli,  con
riferimento  a precisi casi giudiziari concreti, «l'avere sequestrato
innocenti con indagini insufficenti».
    In sostanza dunque, gli atti di sindacato ispettivo si limitano a
tratteggiare   l'identica   vicenda   evocata   nelle   dichiarazioni
dell'articolo   di   stampa,  sulla  quale  si  sono  successivamente
sviluppate  espressioni  diverse  per  forma  e  significati, poste a
fondamento  dell'accusa  contestata  nel  giudizio  penale.  Ma, come
peraltro   sopra  richiamato  e  piu'  volte  affermato  dalla  Corte
costituzionale,  per  l'operativita' della prerogativa dell'immunita'
ex  art. 68,  primo  comma, della Costituzione, non basta la semplice
«comunanza  di  argomento»  ne'  la  riconducibilita'  ad un medesimo
«contesto  politico»  dei  temi  trattati,  poiche'  in  tal modo, si
determinerebbe   un'indebita   estensione   della  suddetta  garanzia
costituzionale  a  tutte  le opinioni espresse dal parlamentare nello
svolgimento  della  sua  attivita' politica, e non solo - come invece
l'attuale  art. 68,  primo  comma, della Costituzione impone - quelle
«legate  da  nesso  funzionale»  (cfr.  sentenza Corte cost. n. 10-17
gennaio  2000), e nel caso di specie, a dichiarazioni non esattamente
identificabili  quale  «espressione  della  funzione e/o di attivita'
parlamentare».
    Cio'    premesso,    quelle    stesse   dichiarazioni   contenute
nell'articolo  di  stampa  oggetto  dell'imputazione  che, in base al
consolidato  orientamento  interpretativo  dell'art. 68, primo comma,
Cost.  fornito  dalla  Corte costituzionale, non rientrerebbero nella
sfera  di  operativita'  di  tale  norma  costituzionale,  si ritiene
potrebbero  rientrare  nell'attuale previsione normativa dell'art. 3,
comma  1,  legge  n. 140/2003:  in  particolare, laddove quest'ultimo
ricomprende  tra  le attivita' coperte dalla garanzia dell'immunita',
non  solo quelle di semplice «divulgazione» all'esterno del contenuto
sostanziale  di  atti  compiuti dal parlamentare nell'esercizio delle
relative   funzioni,  ma  anche  attivita'  di  «critica  e  denuncia
politica»  le  quali,  benche'  svolte  al  di  fuori del Parlamento,
presentino elementi di «connessione con la funzione di parlamentare»;
intesa  non quale «identificabilita' con l'espressione dell'esercizio
della funzione parlamentare», bensi' quale mero collegamento con temi
e argomenti al centro del dibattito politico-istituzionale del Paese,
che  siano oggetto di «critica e/o di denuncia politica» da parte del
parlamentare stesso.
    Il  ritenuto  contrasto  dell'attuale  formulazione  dell'art. 3,
comma 1, legge n. 140/2003 con l'art. 68, primo comma Cost., comporta
un  ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale che non appare
manifestamente   infondato,  ovvero  quello  relativo  alla  ritenuta
violazione degli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione.
    Nel  primo  caso  (contrasto  con  l'art. 3  della  Costituzione)
laddove  il  nuovo  art. 3,  comma 1, legge n. 140/2003 introduce una
irragionevole  disparita' di trattamento tra i soggetti che rivestono
la  qualita'  di «Parlamentare» e i comuni cittadini, trasformando di
fatto  quella  eccezionale  garanzia  dell'immunita' finalizzata alla
tutela del libero esercizio delle funzioni parlamentari attraverso le
opinioni  espresse,  in  una ingiustificata situazione di «privilegio
personale» derivante esclusivamente dallo status di Parlamentare, che
ne  precluderebbe  la  responsabilita'  penale  a  prescindere  dalla
riscontrata  sussistenza di un'identificabilita' di tali opinioni con
l'esercizio  delle  funzioni  parlamentari,  e a differenza di quanto
accadrebbe  a  tutti  coloro  che,  non  rivestendo  la  qualita'  di
parlamentare,   non   potrebbero  sottrarsi  alla  giurisdizione  pur
esprimendo identiche «attivita' di critica e denuncia politica».
    Negli  altri  casi  (contrasto con l'art. 24 e 117 Costituzione),
l'attuale  formulazione  dell'art. 3,  legge n. 140/2003 comporta una
indebita  e  ingiustificata  compressione  dell'esercizio del diritto
costituzionalmente  riservato  a  tutti  i  cittadini, anche ai sensi
dell'art. 6  della  Convenzione  europea dei diritti dell'uomo (e nel
caso di specie, all'odierna parte offesa) di agire in giudizio per la
tutela dei propri diritti e interessi legittimi, diritto suscettibile
di legittima compressione soltanto a fronte dell'esigenza di tutelare
un  preminente  interesse  di  carattere  generale,  quale  il libero
esercizio  delle  funzioni parlamentari e non certo per salvaguardare
attivita' che non ne costituiscono affatto l'espressione.
    Invero,  il  sacrificio  di  un  qualsivoglia  interesse di rango
costituzionale impone un previo ponderato bilanciamento con interessi
parimenti  di  rilievo costituzionale, che l'art. 3 legge n. 140/2003
non   assicura,  ancorando  invece  l'applicabilita'  della  garanzia
costituzionale   a   criteri   che   esorbitano   da  quelli  dettati
dall'art. 68,  primo  comma,  della Costituzione, pure in mancanza di
una legge costituzionale che ne abbia modificato l'attuale portata, e
recludendo di fatto al cittadino la possibilita' di agire in giudizio
a fronte di situazioni che non giustificano affatto l'applicazione di
tale  privilegio,  ancorandolo  a condizioni esclusivamente personali
dei soggetti da perseguire.
    La   Corte   costituzionale,  ha  efficacemente  espresso  questo
principio  affermando  che  l'attivita'  politica che non costituisca
esplicazione   della  funzione  parlamentare  «rappresenta  piuttosto
esercizio  della liberta' di espressione comune a tutti i consociati,
sicche'  ad essa non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita'
che  la  Costituzione  ha  voluto, in deroga al generale principio di
legalita'  e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni
espresse  nell'esercizio delle funzioni», ed ancora sottolineando che
in   assenza  di  tale  delimitazione  funzionale  dell'ambito  della
prerogativa,  l'applicazione di quest'ultima «la trasformerebbe in un
privilegio  personale del parlamentare, con possibili distorsioni del
principio  di  eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini
nella  dialettica  politica» (cfr. Corte cost. sent. n. 10/2000, gia'
sopra citata).
    Le  questioni  di  illegittimita' costituzionale cosi' come sopra
poste,  rilevano  anche  riguardo alla posizione processuale di Cane'
Cabriele, secondo imputato in questo stesso processo, per il reato p.
e  p.  dall'art. 57  c.p.  «perche'  per  negligenza, quale direttore
responsabile  del  quotidiano  «Il  Resto  del  Carlino»  ometteva di
esercitare  sul  contenuto  del periodico da lui diretto il controllo
necessario ad impedire che venisse commesso il reato di cui sopra».
    Invero,  nella  fattispecie criminosa prevista dalla disposizione
da  ultimo  citata,  «il  reato  che con il mezzo della pubblicazione
viene  commesso  dall'autore  dell'articolo  pubblicato, si configura
come  un  evento  del  reato  colposo  addebitato  al  direttore  del
giornale»  (cfr.  Cass.  penale  Sez.  V  n. 8418 del 28 luglio 1992;
Conforme  sez.  V  n. 8118del  22  giugno  1999);  cosicche'  risulta
evidente  la necessita' di procedere alla trattazione congiunta delle
due   posizioni   processuali,   comportando   l'accertamento   della
responsabilita'  del  direttore  del quotidiano ai sensi dell'art. 57
c.p.,  la  preliminare  valutazione  in  merito alla ricorrenza degli
estremi  del  reato  presupposto,  ovvero  nel  caso  sub  iudice, un
accertamento  che non puo' prescindere dalla previa risoluzione delle
questioni   di   legittimita'   costituzionale   poste,   in   quanto
necessariamente   incidente  sul  riconoscimento  di  una  «causa  di
esclusione  dell'antigiuridicita'  del  fatto»  costituente  il reato
presupposto (cfr. Cass. penale sez. V n. 858 del 21 aprile 1999).
    Sulla base delle motivazioni sopra diffusamente esposte, i motivi
e  i  profili  di  legittimita'  costituzionale sollevati dalla parte
civile  e  dalla difesa Cane', qui richiamati, si ritengono assorbiti
ed  integrati in quelli sollevati d'ufficio con la presente ordinanza
quanto   ai   richiamati   artt. 3,  68  comma  1,  24  e  117  della
Costituzione;  irrilevanti  quanto  all'art. 112 della Costituzione -
poiche'   nel  caso  sub  iudice,  l'azione  penale  era  gia'  stata
esercitata  da  tempo,  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
n. 140/2003  -  e  manifestamente infondata la questione sollevata in
relazione all'art. 101 della Costituzione.