IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento penale n. 1639/99 R.G.N.R. n. 1510/02 r. gen. Tribunale di Bologna, pendente a carico di Sgarbi Vittorio e Cane' Gabriele, come generalizzati in atti; sentite le parti, che hanno concluso: la parte civile ha richiesto sollevarsi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 legge n. 140/03 per contrasto con gli artt. 3, 24, 68, 101, 112, 117 della Costituzione, per i motivi espressi in memoria scritta depositata agli atti, qui richiamata, e ulteriormente illustrati all'Udienza odierna, come da verbale; nonche' la sospensione del giudizio in corso nei confronti dell'imputato Sgarbi, e la separazione della posizione dell'imputato Cane'. In subordine, la parte civile ha chiesto sollevarsi conflitto di attribuzioni; il p.m. ha illustrato le proprie conclusioni di cui alla memoria scritta, depositata dell'odierna udienza, anch'essa qui richiamata, ritenendo che la questione di legittimita' costituzionale proposta non sia rilevante nel presente procedimento, e pertanto chiedendo che il giudice pronunci sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p. nei confronti dell'imputato Sgarbi, separando la posizione dell'imputato Cane', ritenendo la natura strettamente personale della causa di non punibilita' di cui all'art. 68 Costituzione. La difesa di Cane' Gabriele ha chiesto sollevarsi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 legge n. 140/03 per contrasto con gli artt. 3 e 68 della Costituzione, in base ai motivi esposti in udienza, di cui al verbale in atti, e si e' opposta alla separazione della posizione del Cane' chiedendo la sospensione dei processo per entrambi gli imputati. La difesa dell'imputato Sgarbi ha richiesto che, ove non venisse accolta la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalle altre parti, il giudice pronunci sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p. Ha pronunciato la seguente ordinanza. Preso atto della delibera della Camera dei deputati intervenuta in data 27 maggio 2003 qui trasmessa in originale e pervenuta agli atti in data 3 giugno 2003, con la quale veniva approvata integralmente la proposta della Giunta per le autorizzazioni circa l'applicabilita' dell'art. 68 primo comma della Costituzione, nel senso di dichiarare che i fatti per i quali e' in corso il procedimento penale n. 1639/1999 R.G.N.R. - n. 1881/99 RG.G.I.P., di cui al documento 4-quater, n. 73, concernono opinioni espresse dal deputato Sgarbi nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma deIl'art. 68 della Costituzione. Premesso che, il fatto per il quale e' stato disposto il rinvio a giudizio dell'On. Sgarbi, si riferisce a frasi ritenute - secondo l'accusa - diffamatorie, attribuite al medesimo e pubblicate in un articolo di stampa sul quotidiano «Il Resto del Carlino» del 31 dicembre 1998, sotto il titolo «Caro Fini, non sono garantista difendo tutti anche i piu' deboli». L'on. Sgarbi avrebbe - secondo l'imputazione elevata a suo carico - con l'articolo suddetto, offeso gravemente la reputazione del dott. Giancarlo Caselli, all'epoca Procuratore della Repubblica di Palermo» a causa dell'adempimento delle sue funzioni e nell'atto di esercitarle, indicandolo espressamente come causa della morte del dott. Luigi Lombardini, verificatasi per suicidio a Cagliari l'11 agosto 1998, in quanto avrebbe posto in essere nei suoi confronti «una violenza intollerabile» cosi' da condurlo alla disperazione e al suicidio, il tutto in un contesto generale di iniziative giudiziarie caratterizzate dal sequestro di innocenti». La Camera dei deputati approvava integralmente la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, la quale, richiesta di pronunciarsi per iniziativa dello stesso deputato Sgarbi, ha esaminato il caso nelle sedute del 6 marzo e 14 maggio 2003 (cfr. Relazione della giunta, trasmessa agli atti). Nella relazione della giunta, si sottolineava infatti che «le affermazioni del deputato Sgarbi sono parse inserirsi nel contesto della perdurante polemica politica nel nostro Paese inerente al modo di procedere della magistratura e in particolare nella forte critica politica manifestata dal deputato Sgarbi nei confronti dell'operato di taluni Magistrati, critica che in molte precedenti occasioni, l'assemblea ha ritenuto insindacabili al sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. Del resto, la garanzia di cui all'art. 68, primo comma della Costituzione, copre anche attivita' di critica e di denuncia del Parlamentare relativamente all'ordine del giorno dell'attivita' parlamentare cosi' com'era la polemica con la magistratura in quel periodo. Decisiva ai presenti fini, e' poi la circostanza che le dichiarazioni del deputato Sgarbi sono di contenuto sostanzialmente corrispondente a quelle riportate nelle sua interrogazione a riposta orale presentate il 15 settembre 1998 (Atto Camera n. 3/02843), il cui testo si riporta in allegato, e che dimostra appieno il nesso funzionale tra le dichiarazioni rese nel contesto del procedimento in titolo e l'attivita' parlamentare. Per tali motivi all'unanimita', la giunta ha deliberato nel senso che i fatti per i quali e' in corso il procedimento concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni (cfr. relazione della giunta per le autorizzazioni - Doc. IV-quater n. 73 presentata alla Presidenza il 15 maggio 2003, approvata dalla Camera nella seduta del 27 maggio 2003 n. 314, come da estratto stenografico trasmesso al seguito della comunicazione inviata a questo Tribunale dal Presidente della Camera dei deputati unitamente alla suddetta relazione e al testo dell'interrogazione parlamentare citata). Pervenuta la suddetta documentazione via fax nel corso dell'udienza dibattimentale del 28 maggio 2003, con riserva di trasmissione degli originali (pervenuti successivamente in data 29 maggio 2003 alla segreteria di Presidenza del tribunale di Bologna), questo giudice disponeva un rinvio preliminare all'odierna udienza, riservando ogni decisione senza espletare ulteriore attivita' istruttoria, come da ordinanza agli atti qui richiamata. Successivamente, nelle more del rinvio, entrava in vigore la legge 20 giugno 2003 n. 140 intitolata «Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato» il cui art. 3 comma 1 ridefiniva l'ambito di applicazione del medesimo articolo 68 primo comma della Costituzione, nei seguenti termini «l'art. 68, 1 comma, della Costituzione, si applica in ogni caso, per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni albo atto parlamentare, per ogni alba attivita' di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di Parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento». Allo stato attuale del processo, essendo pervenuta la deliberazione della Camera in senso favorevole all'applicazione dell'art. 68 comma 1 della Costituzione, gia' precedentemente all'entrata in vigore della suddetta legge, questo giudice sarebbe tenuto, giusta il combinato disposto di cui all'art. 3 commi terzo e ottavo della legge n. 140/03, ad «adottare senza ritardo i provvedimenti indicati nel comma 3 ovvero a provvedere con sentenza, in ogni stato e grado del processo penale, a norma dell'art. 129 del codice procedura penale», norma di carattere processuale, come tale immediata applicazione in base al noto principio tempus regit actum. In alternativa, il giudice ordinario conserva il potere di sollevazione del conflitto di attribuzioni, fondato sulla stessa garanzia costituzionale di delimitazione della sfera di attribuzioni di cui all'art. 134 della Costituzione. La pronuncia di una sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p., impone tuttavia a questo giudice una valutazione preliminare dell'ambito di applicazione dell'art. 68 comma 1 Costituzione, come ridefinito nel nuovo art. 3 comma 1 della legge n. 140/2003, quale norma sopravvenuta di carattere sostanziale che delinea i casi di applicazione della causa di non punibilita', riconosciuta sussistente nel caso di specie, dalla delibera parlamentare di cui sopra. Orbene, questo giudice ritiene che l'attuale testo normativo dell'art. 3 legge n. 140/2003 ponga una questione non manifestamente infondata di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 68 comma 1, 24 e 117 della Costituzione, e che la questione sia rilevante nel presente procedimento penale, per i motivi di seguito esposti, e secondo profili solo in parte coincidenti con quelli gia' dedotti dalle parti istanti, tanto da rendere necessaria la sollevazione d'ufficio ex art. 23 comma 3 legge 11 marzo 1953, n. 87. Invero, l'art. 3 comma 1 legge n. 140/03, non si limita ad una semplice «attuazione» dell'art. 68 comma 1 della Costituzione, ma estende l'ambito di operativita' della garanzia dell'immunita' parlamentare, ben oltre i limiti definiti dall'attuale formulazione della norma costituzionale citata, quali costantemente individuati dalla pluriennale giurisprudenza dalla Corte costituzionale nelle numerose pronunce intervenute in occasione della sollevazione di conflitti di attribuzioni tra il giudice ordinario e le Camere, riguardo allo specifico tema del «nesso funzionale» tra le dichiarazioni di un deputato e l'espressione di attivita' parlamentare. Per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale e' pacifico che, trattandosi di valutare la sussistenza della prerogativa dell'immunita' in rapporto alle dichiarazioni rese da un deputato ad un'agenzia di stampa, e pertanto rilasciate al di fuori dell'esercizio delle funzioni parlamentari tipiche, il problema si risolve nello stabilire se quelle dichiarazioni siano ugualmente identificabili come espressione dell'attivita' parlamentare, e quindi possano ritenersi iscritte nell'ambito delle «opinioni» per le quali opera la citata garanzia costituzionale (cfr. sentenza Corte costituzionale n. 51/2002, nella quale viene riaffermato il principio secondo cui «ove le dichiarazioni per le quali il parlamentare e' chiamato a rispondere in sede giurisdizionale siano state rese al di fuori di un'attivita' funzionale riconducibile alla qualita' di membro della Camera, e del tutto al di fuori delle possibilita' di controllo e di intervento offerte dall'ordinamento parlamentare, l'unico punto da verificare riguarda l'eventualita' che la dichiarazione medesima non rappresenti altro se non la divulgazione all'esterno.... di un'opinione gia' espressa, o contestualmente espressa, nell'esercizio della funzione parlamentare»). La Corte costituzionale ha piu' volte chiarito che, ai fini della predetta identificazione, (non basta la semplice comunanza di argomenti, oggetto di attivita' parlamentari tipiche e di dichiarazioni fatte al di fuori di esse, ne' basta la riconducibilita' di queste ultime dichiarazioni ad un medesimo «contesto politico» (cfr. tra le molte conformi, la recente citata sent. Corte cost. n. 51/2002, in base alla quale «per poter ricondurre le dichiarazioni extra moenia al panorama delle «opinioni» per le quali opera la garanzia costituzionale della irresponsabilita' non basta la semplice comunanza di argomenti, ne' la medesimezza del «contesto» politico tra quelle dichiarazioni e l'espletamento di atti tipici della funzione parlamentare. Occorre, invece, che la dichiarazione possa essere qualificata come espressione di attivita' parlamentare; il che normalmente accade se ed in quanto sussista una sostanziale corrispondenza di significati fra le dichiarazioni rese al di fuori dell'esercizio delle attivita' parlamentari tipiche svolte in Parlamento, e le opinioni gia' espresse nell'ambito di queste ultime»). La sostanziale corrispondenza di contenuti, finisce dunque per costituire «il criterio che consente di identificare le dichiarazioni rese al di fuori di quelle attivita', e cionostante riconducibili o inerenti alla funzione parlamentare, distinguendole cosi' da quelle che ricadono nel diritto comune a tutti i cittadini, e proteggendole tramite la speciale garanzia dell'art. 68 primo comma, della Costituzione. Senza con cio' determinare situazioni ingiustificate di privilegio personale» (cfr. Sent. 320 e 321/ 2000, sent. 27 febbraio-15 marzo 2002 n. 50). Alla luce dei suddetti ben noti principi, una disposizione semplicemente «attuativa» dell'art. 68 comma 1 della Costituzione introdotta con legge ordinaria, avrebbe necessariamente dovuto rispettare i confini nei quali era ed e' legittimamente possibile individuare gli estremi del «nesso funzionale» cosi' come interpretato costantemente dalla Corte costituzionale, e in ossequio al dettato della norma costituzionale attualmente vigente (salva la possibilita' di introdurre modifiche dirette a quest'ultima mediante gli strumenti legislativi previsti dall'art. 138 della Costituzione, non attuati con la legge de qua. Si ritiene invece, che il testo dell'attuale art. 3 comma 1 legge n. 140/03 abbia inteso individuare i termini di identificabilita' di «espressione dell'attivita' parlamentare», non solo nella «sostanziale identita' di significati» tra le attivita' extra moenia e quelle svolte in sede Parlamentare dal medesimo Deputato, bensi' ancbe in una serie di condotte che, pur se svolte fuori del Parlamento, presentino un mero collegamento con «la funzione di Parlamentare» e non una specifica connessione con l'attivita' parlamentare svolta dal medesimo soggetto, indipendentemente dalla loro identificabilita' con il vero e proprio «esercizio delle funzioni parlamentari» voluto dall'art. 68 comma 1 della Costituzione. Invero, l'interpretazione letterale e sistematica del testo delIart. 3 comma 1 legge n. 140/03 porta inequivocabilmente a tali conclusioni, laddove vengono analiticamente indicate, in aggiunta agli atti «tipici» espressivi dell'esercizio di funzioni parlamentari (disegni di legge, proposte di legge, emendamenti, interrogazioni etc.), una serie di ulteriori attivita' «di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica», le quali saranno ugualmente coperte dall'immunita' anche se avvenute al di fuori del Parlamento, qualora risultino «connesse alla funzione di parlamentare». Il rapporto di «connessione» viene dunque riconosciuto non solo rispetto alla «divulgazione» di atti o attivita' compiute dal medesimo Parlamentare intra moenia, ma anche ad ulteriori e diverse attivita' espletate fuori della sede parlamentare, e non necessariamente di contenuto corrispondente a quello di atti «tipici» compiuti dallo stesso Parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni. La differenza e' rilevante, in quanto detta interpretazione del nesso funzionale quale criterio operativo di applicazione della garanzia dell'immunita' parlamentare, consente di dilatarne i confini ben oltre e in contrasto con il dettato dell'attuale art. 68 primo comma, Costituzione, sino a ricomprendervi anche attivita' di «critica e/ o di denuncia politica», ovvero tutte quelle opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della sua attivita' politica, che presentino un qualche «collegamento di argomento o di contesto» con l'attivita' parlamentare (dello stesso o di altri deputati), e non solo - come la Corte costituzionale ha piu' volte costantemente ribadito - quelle attivita' che siano identificabili quale «espressione di attivita' parlamentare», ovvero manifestate in atti che costituiscano «estrinsecazione delle facolta' proprie del Parlamentare in quanto membro dell'Assemblea» (cosi' Corte costituzionale sent. n. 10/2000, n. 11/2000; n. 56/2000; 420/2000). Sul punto, la Corte costituzionale ha ritenuto che «la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione resa ai mezzi di comunicazione o in dibattiti pubblici e le opinioni espresse in sede parlamentare non basta a estendere alla prima l'insindacabilita' che copre le seconde. Ne' si puo' invocare a tal fine l'esistenza di un «contesto» politico in cui la dichiarazione si inserisca, giacche' siffatto tipo di collegamenti non vale, di per se', a conferire il carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di pensiero oggettivamente estranee ad essa. Deve esservi, dunque, un preciso nesso funzionale fra le dichiarazioni e l'attivita' parlamentare: nesso che puo' legittimamente essere affermato dalle Camere anche quando le dichiarazioni siano sostanzialmente riproduttive dell'opinione sostenuta in sede parlamentare», e non invece, sulla base di un generico riferimento alla «azione politica» svolta dal deputato «dentro e fuori il Parlamento» sui medesimi temi (come quelli, rilevanti nel caso di specie, attinenti all'amministrazione della giustizia e alla tutela dei soggetti sottoposti a carcerazione preventiva) (cfr. Corte cost. sent. n. 56/2000). Quanto alla rilevanza della questione nel presente processo, ed alla priorita' della sua risoluzione rispetto ad ogni ulteriore decisione - sia nel senso di sentenza ex art. 129 c.p.p., sia in quello alternativa della sollevazione del conflitto di attribuzioni - va osservato che: a) la delibera di insindacabilita' verte sul riconoscimento del «nesso funzionale» tra le dichiarazioni rese dallo Sgarbi fuori del Parlamento e l'esercizio delle funzioni parlamentari, ovvero sull'applicazione al caso di specie, delle garanzie previste dall'art. 68, primo comma, della Costituzione. L'art. 3 della recente legge n. 140/03 ha ridefinito, nei termini sopra esposti, il medesimo ambito di operativita' dell'art. 68 primo comma, della Costituzione, individuando una serie specifica di attivita' svolte dal Parlamentare, alle quali si applica tale norma costituzionale in quanto «connesse alla funzione di Parlamentare, espletate anche fuori del Parlamento», cosi' interpretando - come si e' gia' evidenziato - il nesso funzionale che scrimina dette attivita', in modo assai piu' ampio di quanto consentito dal testo attuale dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. Alla luce della deliberazione della Camera dei deputati, questo giudice dovrebbe applicare l'art. 129 c.p.p., come peraltro oggi espressamente previsto dall'art. 3 legge n. 140/2003, ovvero sollevare il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale. qualora ritenesse prodottasi un'indebita lesione della sfera di giurisdizione da parte della intervenuta deliberazione. Tale scelta alternativa e' tutt'oggi riservata al giudice ordinario di fronte all'intervento di una delibera della Camera, e confermata piu' volte dalla giurisprudenza della Corte costituzionale gia' prima dell'entrata in vigore dell'art. 3 legge n. 140/2003, che non ha comunque modificato la possibilita' da parte del giudice ordinario di adire la Corte costituzionale attraverso la via del conflitto di attribuzioni, trattandosi di facolta' che, come si e' visto, e' riconosciuta dalla stessa Costituzione (artt. 134 ss. Cost.). Tuttavia, anche le valutazioni necessariamente connesse all'esercizio di tale facolta' - riservata al giudice ordinario qualora egli non ritenga di aderire alla decisione assunta dalla Camera e ritenga vi sia stata indebita lesione della propria sfera di attribuzioni in conseguenza dell'esercizio, ritenuto illegittimo, del potere di dichiarare l'insindacabilita' ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione - comportano una imprescindibile e preliminare delibazione attuale della delibera stessa, alla luce della nuova normativa introdotta dal citato art. 3, legge n. 140/2003 in epoca successiva all'intervenuta decisione della Camera. Dall'esame - esclusivamente a tal fine - del contenuto della delibera in oggetto, emerge chiaro il richiamo nella motivazione della stessa, non solo alla ritenuta sostanziale corrispondenza di contenuti tra le dichiarazioni del deputato Sgarbi alla stampa e quelle riportate nella sua interrogazione a risposta orale presentata il 15 settembre 1998, ma anche e soprattutto, alla portata interpretativa che la Camera ha inteso ribadire relativamente all'ambito di operativita' della garanzia di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione, laddove si dice chiaramente che quest'ultima «copre anche attivita' di critica e di denuncia del Parlamentare relativamente a questioni all'ordine del giorno dell'attivita' parlamentare, cosi' come era la polemica con la magistratura in quel periodo» (cfr. relazione della giunta - doc. IV-quater - n. 73 allegata agli atti). La giunta per le autorizzazioni specificava infatti, nella proposta poi approvata integralmente con la delibera del 27 maggio 2003 (cfr. relazione della giunta - doc. IV-quater - n. 73) che «le affermazioni del deputato Sgarbi sono parse inserirsi nel contesto della perdurante polemica politica nel nostro Paese, inerente al modo di procedere della magistratura e in particolare, nella forte critica politica manifestata dal deputato Sgarbi nei confronti dell'operato di taluni magistrati, critica che in molte precedenti occasioni l'assemblea ha ritenuto insindacabile ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituizione». Orbene, tale interpretazione dell'ambito di operativita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, e quindi del riconoscimento del «nesso funzionale» tra le dichiarazioni rese extra moenia e l'esercizio delle funzioni parlamentari, risulta sostanzialmente aderente all'attuale contenuto e portata del nuovo art. 3 legge n. 140/2003, laddove al primo comma, esso estende espressamente il riconoscimento della connessione funzionale ad una serie di attivita' specificamente elencate, tra le quali ben potrebbero astrattamente ricondursi quelle stesse indicate nella relazione della Giunta - «attivita' di critica e di denuncia del Parlamentare relativamente a questioni all'ordine del giorno dell'attivita' parlamentare, cosi' com'era la polemica con la magistratura in quel periodo»; che il Parlamentare abbia svolto anche fuori della sede propria del Parlamento, e che si trovino in un rapporto di mero collegamento di argomento o di identita' - comunanza di tematiche rispetto a quelle trattate all'interno delle Camere, pur se non si esauriscano nella sola attivita' di «divulgazione» all'esterno di dichiarazioni gia' contenute sostanzialmente in attivita' compiute dallo stesso Parlamentare nella sede istituzionale della Camera di appartenenza. Alla luce di tali premesse, appare riconfermato che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, legge n. 140/2003, si ponga necessariamente come preliminare e propedeutica rispetto ad ogni altra decisione del giudice ordinario, sia che la stessa si concretizzi nella sollevazione del conflitto di attribuzioni, oppure nell'applicazione immediata dell'art. 129 c.p.p. b) Invero, anche riguardo a tale seconda ipotesi - diversamente da quanto ritenuto dal p.m. nelle proprie deduzioni - si manifesta la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale posta nel caso sub iudice, poiche' lo stesso potrebbe rientrare nell'attale previsione dell'art. 3, comma 1, legge n. 140/2003, a differenza di quanto sarebbe accaduto prima dell'entrata in vigore della medesima legge. Compiendo una preliminare valutazione - esclusivamente a tal fine, e quindi dovendosi prescindere in questa sede, da ogni ulteriore valutazione di merito in ordine alla fondatezza dell'ipotesi di accusa - si rileva che le dichiarazioni di cui all'articolo di stampa oggetto dell'imputazione nel presente procedimento, non risultano avere contenuto totalmente corrispondente a quello dell'atto ispettivo indicato nella delibera in oggetto (interrogazione parlamentare presentata dall'on. Sgarbi - atto Camera n. 3/02843 - in data 15 settembre 1998), laddove le stesse si estendono alla frase «... voglio immaginare una situazione ribaltata: Caselli a Palermo che, indagato per avere sequestrato innocenti con indagini insufficienti, come e' realmente accaduto (Musotto, Lombardo, Scalone), viene interrogato da un pool di magistrati cagliaritani ... guidati da Lombardini. Quale sarebbe stato l'umore di Caselli? Non voglio aggiungere altro», introducendo contenuti nuovi e sostanzialmente diversi da quelli dell'interrogazione, che, per questa parte, non possono identificarsi quale «espressione dell'esercizio della funzione parlamentare». Invero, queste ulteriori dichiarazioni non costituiscono mera divulgazione esterna dei contenuti dell'interrogazione parlamentare citata, ma assumono valenza di significato autonomo, ancorche' riconducibile solo in parte alla medesima vicenda, nonche' ricollegabili al medesimo tema oggetto di critica, ovvero l'operato di taluni magistrati. Esse non possono pertanto, integrare quella totale «identita' sostanziale di contenuti» presupposto di applicazione della garanzia prevista dall'art. 68, primo comma, Cost. Sul punto, la stessa Corte costituzionale ha ribadito che, anche nei casi di «sostanziale corrispondenza di contenuti solo parziale», le dichiarazioni rese dal parlamentare extra moenia non possono considerarsi divulgazione, per la parte priva di corrispondenza, e dunque non possono ritenersi rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari» (cosi' Corte cost. sent. n. 10/2000 su un caso di conflitto di attribuzioni sollevato in relazione ad un altro procedimento a carico dell'on. Sgarbi per diffamazione a danno del dott. Caselli; n. 420/2000 nella quale si sottolinea come «quando vi e' una semplice parziale comunanza generica di tematiche relative alla persona offesa dalle dichiarazioni ... non e' ravvisabile una corrispondenza sostanziale di contenuti e significati con un atto parlamentare e, quindi, un carattere divulgativo»). Invero, nell'interrogazione parlamentare presentata dall'on. Sgarbi in data 15 settembre 1998, seppure con le forme del «quesito dubitativo» proprie dell'atto tipico, venivano mosse censure specifiche circa l'operato dei magistrati della Procura di Palermo, tra i quali il dott. Caselli, e in particolare, circa alcune irregolarita' che avrebbero caratterizzato le modalita' di gestione dell'indagine svolta nei confronti del dott. Lombardini (all'epoca procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Cagliari) e l'espletamento concreto di alcuni atti giudiziari, in particolare le modalita' della perquisizione e quelle definite «persecutorie» di conduzione dell'interrogatorio, nonche' nell'avere «fatto ventilare la possibilita' di "arresto per la mancata collaborazione" (tema da sempre pubblicizzato dalla cultura "inquisitoria" di Caselli e degli altri magistrati) con cio' creando il clima terrorizzante che secondo l'interrogante potrebbe aver causato la morte di Lombardini». Secondo l'interrogante, tali metodi avrebbero potuto rappresentare la causa del suicidio del dott. Lombardini, tanto che nell'interrogazione si ipotizzava il ravvisarsi di fattispecie di reato quali quelle previste dagli art. 580 c.p. o 613 c.p., e si prospettava la necessita' di adottare i conseguenti provvedimenti di carattere disciplinare e penale. L'interrogazione, si riferisce dunque a fatti specifici solo parzialmente richiamati nel contenuto dell'articolo in questione - suicidio del dott. Lombardini e presunte responsabilita' del dott. Caselli in ordine allo stesso a causa dei metodi d'indagine adottati nel caso specifico - e solo genericamente compie un riferimento ad un possibile «uso distorto» della carcerazione preventiva quale «arma di pressione» per convincerlo a collaborare. Nell'articolo in oggetto, invece, si introducono temi e contenuti nuovi, che non possono essere ritenuti sostanzialmente corrispondenti a quelli oggetto dell'interrogazione: in particolare, laddove si parla esplicitamente di «avere sequestrato innocenti sulla base di indagini insufficienti» (come realmente accaduto: Musotto, Lombardo e Scalone)»; attribuiti alla persona del medesimo magistrato dott. Caselli, e si citano tali casi nella descrizione esemplificativa di una situazione ipotetica in cui, attraverso un immaginato «rovesciamento dei ruoli», lo stesso magistrato si fosse trovato nella condizione di soggetto indagato per tali fatti, e il dott. Lombardini nella veste di titolare dell'inchiesta. Dunque, nell'articolo oggetto dell'imputazione, da un lato si accosta la vicenda del Lombardini a quelle dei citati altri casi giudiziari - circostanza che non risulta assolutamente costituire contenuto dell'interrogazione parlamentare agli atti - dall'altro, si attribuisce espressamente al dott. Caselli «l'avere sequestrato innocenti con indagini insufficienti» con riferimento a casi specifici e diversi da quello del Lombardini - contenuto dotato di rilevanza autonoma che, del pari, non risulta trovare alcuna identita' sostanziale con quello dell'interrogazione parlamentare ridetta. In quest'ultima, risulta espresso un richiamo generico al concetto di un possibile uso distorto della carcerazione preventiva quale «arma di pressione» per indurre l'indagato a fornire la propria collaborazione; contenuto affatto diverso da quello che, nell'articolo di stampa, attribuisce al dott. Caselli, con riferimento a precisi casi giudiziari concreti, «l'avere sequestrato innocenti con indagini insufficenti». In sostanza dunque, gli atti di sindacato ispettivo si limitano a tratteggiare l'identica vicenda evocata nelle dichiarazioni dell'articolo di stampa, sulla quale si sono successivamente sviluppate espressioni diverse per forma e significati, poste a fondamento dell'accusa contestata nel giudizio penale. Ma, come peraltro sopra richiamato e piu' volte affermato dalla Corte costituzionale, per l'operativita' della prerogativa dell'immunita' ex art. 68, primo comma, della Costituzione, non basta la semplice «comunanza di argomento» ne' la riconducibilita' ad un medesimo «contesto politico» dei temi trattati, poiche' in tal modo, si determinerebbe un'indebita estensione della suddetta garanzia costituzionale a tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della sua attivita' politica, e non solo - come invece l'attuale art. 68, primo comma, della Costituzione impone - quelle «legate da nesso funzionale» (cfr. sentenza Corte cost. n. 10-17 gennaio 2000), e nel caso di specie, a dichiarazioni non esattamente identificabili quale «espressione della funzione e/o di attivita' parlamentare». Cio' premesso, quelle stesse dichiarazioni contenute nell'articolo di stampa oggetto dell'imputazione che, in base al consolidato orientamento interpretativo dell'art. 68, primo comma, Cost. fornito dalla Corte costituzionale, non rientrerebbero nella sfera di operativita' di tale norma costituzionale, si ritiene potrebbero rientrare nell'attuale previsione normativa dell'art. 3, comma 1, legge n. 140/2003: in particolare, laddove quest'ultimo ricomprende tra le attivita' coperte dalla garanzia dell'immunita', non solo quelle di semplice «divulgazione» all'esterno del contenuto sostanziale di atti compiuti dal parlamentare nell'esercizio delle relative funzioni, ma anche attivita' di «critica e denuncia politica» le quali, benche' svolte al di fuori del Parlamento, presentino elementi di «connessione con la funzione di parlamentare»; intesa non quale «identificabilita' con l'espressione dell'esercizio della funzione parlamentare», bensi' quale mero collegamento con temi e argomenti al centro del dibattito politico-istituzionale del Paese, che siano oggetto di «critica e/o di denuncia politica» da parte del parlamentare stesso. Il ritenuto contrasto dell'attuale formulazione dell'art. 3, comma 1, legge n. 140/2003 con l'art. 68, primo comma Cost., comporta un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale che non appare manifestamente infondato, ovvero quello relativo alla ritenuta violazione degli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione. Nel primo caso (contrasto con l'art. 3 della Costituzione) laddove il nuovo art. 3, comma 1, legge n. 140/2003 introduce una irragionevole disparita' di trattamento tra i soggetti che rivestono la qualita' di «Parlamentare» e i comuni cittadini, trasformando di fatto quella eccezionale garanzia dell'immunita' finalizzata alla tutela del libero esercizio delle funzioni parlamentari attraverso le opinioni espresse, in una ingiustificata situazione di «privilegio personale» derivante esclusivamente dallo status di Parlamentare, che ne precluderebbe la responsabilita' penale a prescindere dalla riscontrata sussistenza di un'identificabilita' di tali opinioni con l'esercizio delle funzioni parlamentari, e a differenza di quanto accadrebbe a tutti coloro che, non rivestendo la qualita' di parlamentare, non potrebbero sottrarsi alla giurisdizione pur esprimendo identiche «attivita' di critica e denuncia politica». Negli altri casi (contrasto con l'art. 24 e 117 Costituzione), l'attuale formulazione dell'art. 3, legge n. 140/2003 comporta una indebita e ingiustificata compressione dell'esercizio del diritto costituzionalmente riservato a tutti i cittadini, anche ai sensi dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (e nel caso di specie, all'odierna parte offesa) di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, diritto suscettibile di legittima compressione soltanto a fronte dell'esigenza di tutelare un preminente interesse di carattere generale, quale il libero esercizio delle funzioni parlamentari e non certo per salvaguardare attivita' che non ne costituiscono affatto l'espressione. Invero, il sacrificio di un qualsivoglia interesse di rango costituzionale impone un previo ponderato bilanciamento con interessi parimenti di rilievo costituzionale, che l'art. 3 legge n. 140/2003 non assicura, ancorando invece l'applicabilita' della garanzia costituzionale a criteri che esorbitano da quelli dettati dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, pure in mancanza di una legge costituzionale che ne abbia modificato l'attuale portata, e recludendo di fatto al cittadino la possibilita' di agire in giudizio a fronte di situazioni che non giustificano affatto l'applicazione di tale privilegio, ancorandolo a condizioni esclusivamente personali dei soggetti da perseguire. La Corte costituzionale, ha efficacemente espresso questo principio affermando che l'attivita' politica che non costituisca esplicazione della funzione parlamentare «rappresenta piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati, sicche' ad essa non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni», ed ancora sottolineando che in assenza di tale delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa, l'applicazione di quest'ultima «la trasformerebbe in un privilegio personale del parlamentare, con possibili distorsioni del principio di eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica» (cfr. Corte cost. sent. n. 10/2000, gia' sopra citata). Le questioni di illegittimita' costituzionale cosi' come sopra poste, rilevano anche riguardo alla posizione processuale di Cane' Cabriele, secondo imputato in questo stesso processo, per il reato p. e p. dall'art. 57 c.p. «perche' per negligenza, quale direttore responsabile del quotidiano «Il Resto del Carlino» ometteva di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che venisse commesso il reato di cui sopra». Invero, nella fattispecie criminosa prevista dalla disposizione da ultimo citata, «il reato che con il mezzo della pubblicazione viene commesso dall'autore dell'articolo pubblicato, si configura come un evento del reato colposo addebitato al direttore del giornale» (cfr. Cass. penale Sez. V n. 8418 del 28 luglio 1992; Conforme sez. V n. 8118del 22 giugno 1999); cosicche' risulta evidente la necessita' di procedere alla trattazione congiunta delle due posizioni processuali, comportando l'accertamento della responsabilita' del direttore del quotidiano ai sensi dell'art. 57 c.p., la preliminare valutazione in merito alla ricorrenza degli estremi del reato presupposto, ovvero nel caso sub iudice, un accertamento che non puo' prescindere dalla previa risoluzione delle questioni di legittimita' costituzionale poste, in quanto necessariamente incidente sul riconoscimento di una «causa di esclusione dell'antigiuridicita' del fatto» costituente il reato presupposto (cfr. Cass. penale sez. V n. 858 del 21 aprile 1999). Sulla base delle motivazioni sopra diffusamente esposte, i motivi e i profili di legittimita' costituzionale sollevati dalla parte civile e dalla difesa Cane', qui richiamati, si ritengono assorbiti ed integrati in quelli sollevati d'ufficio con la presente ordinanza quanto ai richiamati artt. 3, 68 comma 1, 24 e 117 della Costituzione; irrilevanti quanto all'art. 112 della Costituzione - poiche' nel caso sub iudice, l'azione penale era gia' stata esercitata da tempo, prima dell'entrata in vigore della legge n. 140/2003 - e manifestamente infondata la questione sollevata in relazione all'art. 101 della Costituzione.